Monster: il nuovo incubo di Ryan Murphy è la transfobia
La giornalista trans Amelia Hansford accusa la serie Monster: The Ed Gein Story di alimentare stereotipi transfobici, travisando il messaggio che pretende di denunciare.
Ryan Murphy torna al centro delle polemiche con Monster: La storia di Ed Gein, il nuovo capitolo della sua antologia dedicata ai “mostri” americani in questi giorni su Netflix. Ma questa volta, il vero orrore non è sullo schermo: è nella rappresentazione stessa. A denunciarlo è la giornalista trans Amelia Hansford, che in un editoriale infuocato accusa Murphy e il co-creatore Ian Brennan di aver trasformato un tema complesso, la psiche disturbata di un assassino seriale, in una caricatura intrisa di transfobia.
Secondo Hansford, la serie non solo fallisce nel “fare distinzione” tra l’identità di genere e la devianza psicotica, ma ripropone in modo spettacolare e compiaciuto le stesse narrazioni tossiche che dice di voler smontare. “C’è una differenza tra intenzione e impatto,” scrive Hansford. “Puoi anche non voler fare del male, ma se lo fai, quello è ciò che conta”. Ed è esattamente ciò che accade con Monster. Murphy aveva spiegato che la serie voleva esplorare la natura del male, i mostri nascono o crescono, e chiarire le false voci sulla presunta identità di genere di Ed Gein, il famigerato assassino che ispirò Psycho e Il silenzio degli innocenti.

«Credo sinceramente a Ryan Murphy e al co-creatore Ian Brennan quando affermano di voler “tracciare una distinzione” tra gli orribili omicidi commessi da Ed Gein e le false voci sulla sua identità ed espressione di genere, non ho motivo di dubitarne. Il problema è che le loro intenzioni non contano nulla di fronte a ciò che lo spettatore vede: un insieme di scene fuorvianti, ignoranti e profondamente sbagliate». Ma il risultato, sostiene Hansford, è un prodotto che non rivela, bensì si compiace del proprio orrore: un racconto che indugia su immagini di Gein come un fanatico travestito trans, che si compiace vestito con abiti e pelle femminile, indossando lingerie e una maschera costruita con la pelle di una donna morta mentre si masturba, senza la minima consapevolezza del messaggio che trasmette. Invece di smontare i miti transfobici, la serie li ricrea con un’estetica patinata e disturbante, legando l’immaginario trans alla violenza, al feticismo, alla follia.
Attenzione spoiler:
Nel settimo episodio, La Radio, Ed usa una radio amatoriale immaginaria per parlare direttamente con le persone che lo ossessionano. In realtà, sta parlando con il suo psicologo, che ha assunto il ruolo di coloro con cui sta parlando. Una di loro è l’attrice trans Christine Jorgensen, che è diventata la prima persona a sottoporsi a un intervento di riassegnazione sessuale. Durante la conversazione, Ed si paragona a lei, suggerendo di sentirsi forse transgender. La sequenza successiva lo mostra sdraiato sul letto, indossando la pelle di una donna e infila una vulva tagliata sotto un paio di mutandine da donna e si guarda allo specchio con estasi.

Una scena che, nelle intenzioni, dovrebbe rappresentare lo scontro tra delirio e identità, ma che nella pratica finisce per intrecciare nuovamente transessualità e violenza. Hansford definisce la scelta “ripugnante e offensiva”:«Ryan Murphy ha preso il momento più intimo della scoperta di sé per una donna trans, guardarsi allo specchio e riconoscersi, e l’ha trasformato in pornografia del disgusto».
«E poi c’è la scena della “tuta di pelle”, continua Amelia Hansford. Quella, lo ammetto, mi fa ribollire il sangue. La scoperta di sé, per una donna trans, è un’esperienza fragile, intima, a volte imbarazzante. È fatta di emozioni, di vulnerabilità, di piccoli momenti rubati al mondo. È quella sera in cui sei da sola nella tua stanza, quasi in lacrime, mentre provi i vestiti economici comprati online e senti mille pensieri assordanti attraversarti la mente. Poi alzi lo sguardo, ti vedi riflessa. Non sei perfetta, ma sei tu. Finalmente tu. Ryan Murphy e Ian Brennan hanno preso quell’attimo sacro e ci hanno sputato sopra. Come il loro protagonista, lo hanno strappato via da chi appartiene, lo hanno smembrato, cucito insieme e reso irriconoscibile. Hanno trasformato qualcosa di nostro, intimo, umano, prezioso, in un feticcio orrifico, pensato solo per soddisfare le loro cupe intenzioni narrative. Complimenti, Ryan e Ian: siete riusciti a prendere un momento di verità e a ridurlo in un frammento da far rabbrividire gli spettatori apatici».

Persino quando la serie prova a mostrare Ed Gein alle prese con i propri conflitti interiori, i produttori falliscono. Qualcuno potrebbe dire che è un tentativo di confrontarlo con la realtà, di farlo “dialogare” con la vera disforia di genere. Ma anche guardandola da questa prospettiva, la scena resta disastrosa. Se Christine Jorgensen doveva rappresentare la realtà vissuta dalle persone trans, il risultato è una visione distorta e sterile dell’identità di genere. Christine diventa solo la voce dello psicologo, che pontifica che la transizione debba richiedere “anni e anni di attenta analisi”, usando termini come ginefilia, parole che i medici transfobici impiegano da decenni per negare l’accesso alle cure.
Congratulazioni, Ryan e Ian: avete appena rispolverato il transmedicalismo, con tanto di certificato di ignoranza. Ecco perché, nell’arte, l’intenzione non basta mai. Ryan Murphy può ripetere le sue buone intenzioni quanto vuole, anche aprire un podcast e ripeterle in loop. Ma non sarà mai accanto agli spettatori mentre guardano la sua serie. L’unica voce che parla per lui è la sua opera.
E quella voce, stavolta, urla forte, e non dice ciò che crede di dire. Se davvero l’intento era quello di distinguere tra le persone trans e la violenza che ci viene falsamente attribuita, allora Murphy ha fallito. E lo ha fatto nel momento peggiore possibile, mentre le destre internazionali alimentano teorie complottiste su un presunto “trans-estremismo”.
Così Monster: La storia di Ed Gein finisce per diffondere proprio ciò che finge di criticare: la patologizzazione dell’identità trans e la confusione tra diversità di genere e malattia mentale. In un momento storico in cui le destre radicali diffondono teorie cospirative sui cosiddetti “trans estremisti”, Monster non spegne l’incendio dell’odio, ci getta sopra benzina.