Porpora Marcasciano, l’attivista trans candidata al Nobel per la Pace: “La rivoluzione è fuori dai social”
La scrittrice e attivista sannita racconta a RadioPride la sua corsa per l’importante riconoscimento, analizzando lo scenario attuale della comunità LGBTQIA+

“Siamo immersi nei social e rinchiusi tra le quattro mura di una cameretta. Leggiamo il mondo da uno schermo, senza interagire con l’esterno. La rivoluzione? Si fa con il sorriso. Inizia dalle piazze: è figlia dell’intelligenza emotiva”. Porpora Marcasciano, presidente onoraria del Movimento Identità Trans (MIT) e consigliera del Comune di Bologna, il 27 gennaio tramite un post su Facebook – in cui è apparsa allo specchio con le mani congiunte in segno di preghiera – ha annunciato la sua candidatura al premio Nobel per la pace 2025. Porpora (il cui nome deriva da Porporino, un soprano eunuco del Settecento) nasce nel 1957 a San Bartolomeo in Galdo, in provincia di Benevento. La sua storia di attivismo ha inizio nel 1973 dopo il colpo di stato in Cile, quando si avvicina per la prima volta ai collettivi di estrema sinistra. Sono gli anni delle contestazioni, dei trip di LSD prima dell’arrivo dell’eroina, dell’omicidio di Pier Paolo Pasolini (1975) e dei movimenti femministi. Le sue battaglie, ieri come oggi, raccontano una vita spesa a lottare contro le discriminazioni di genere.
Cosa si prova a ricevere una candidatura al Nobel per la Pace?
La verità è che non so rispondere a questa domanda. Si tratta di un’esperienza nuova che sto gustando e cercando di capire. Non nascondo che mi sento frastornata, ma provo una profonda gratitudine. La proposta è arrivata da una rete di quasi 40 atenei di tutto il mondo, come l’Université Paris Cité. Le nostre vite sono sempre in tribolazione e ogni tanto qualcosa di bello succede.
Siamo in un periodo a rischio per i diritti della comunità LGBTQIA+, basta dare uno sguardo al vento repubblicano che soffia dagli Stati Uniti…
L’angoscia di Trump al potere l’ho provata non appena ha vinto le elezioni. Ho avuto tre giorni di vuoto e di buio. Questi buchi neri mi tolgono la vitalità. Poi è uscita la notizia della candidatura al premio Nobel per la Pace e abbiamo fatto una grande festa insieme alle mie amiche femministe. Mi è servita per scrollare questo senso di oppressione americana.
In alcune aziende degli States sono state abolite le politiche DEI a favore dell’inclusione e sui documenti ufficiali del governo federale ci sarà solo la dicitura ‘maschio’ e ‘femmina’. Come vivi questa deriva?
Ora ci troviamo a combattere corpo a corpo – le parole sono calzanti – contro un nemico storico e ancestrale: il fascismo. Uno spettro che si manifesta nella mentalità della gente e che bisogna estirpare. Poi succedono eventi importanti che vanno in contrasto con un certo modo di pensare. E improvvisamente la prima donna trans, Karla Sofía Gascón, viene candidata all’Oscar per il film ‘Emilia Pérez’ (2024, Jacques Audiard). Sono notizie che ti fanno capire che esistono ancora spazi di insubordinazione, di rivolta e vittoria. Tutto questo fa comprendere che il percorso da fare è ancora lungo. Non ho mai pensato che le conquiste fossero definitive. Il patriarcato è in agguato e può tornare da un momento all’altro. Non è monolitico, anche quando il successo perdura è necessario tendere verso l’altro.
La cultura si trova in avanti rispetto alla politica?
Mi piacerebbe vederla così, ma credo che sia l’economia a dettare le leggi. È tutta una logica di mercato. Che cosa c’entra questo con i diritti civili? C’entra eccome. L’Europa è in declino e divisa al suo interno. L’economia non ha etica e morale, non si cura dei migranti, delle donne e dell’universo LGBTQIA+, sta distruggendo il pianeta.
La comunità non sta facendo abbastanza?
Dorme. Leggiamo il mondo dai social e dallo spazio ristretto di una cameretta, senza uscire. Mai abbassare la guardia! Quando le cose procedono abbastanza bene, diventiamo pigri. L’attenzione e la tensione devono sempre restare al centro del dibattito, altrimenti il pericolo è di svegliarsi in una società che non ci assomiglia. Che non ci rappresenta. La cittadinanza attiva e la visione critica non devono mai mancare. Purtroppo siamo categorie a rischio.
In altri Paesi come la Francia, per il riconoscimento dei diritti si scende in piazza. In Italia il periodo della contestazione sembra essere relegato agli anni Settanta…
Il Vaticano detta l’agenda politica e non va mai in crisi. Per noi, rispetto per esempio ai paesi del Nord Europa, è più difficile. Quest’anno con il giubileo c’è un rigurgito. Dobbiamo sviluppare le intelligenze emotive per leggere il mondo. Il mondo ci legge e sa dove inserirci, noi abbiamo smesso di dialogare.
Facciamo dei passi indietro?
Indietrissimo. Trump ha ottenuto i voti da un’America contadina e povera. Gli Stati Uniti sono una potenza che ha sempre avuto bisogno di trovare il nemico: ‘il nero’, l’indiano o la persona trans. Il neopresidente ha capito come affondare nel ventre molle dell’America. Poi Elon Musk, il magnate della tecnologia, si è scontrato con la politica. Un incontro pericoloso che minaccia anche i programmi e le iniziative a favore dell’inclusività.
In Italia, invece?
Marina Terragni è stata nominata garante dell’infanzia dal governo, mentre la Roccella è ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità. C’è una logica che ci vuole morti. Ma la verità è che i voti alle elezioni la destra li ha ottenuti. Ci lamentiamo, ma poi non andiamo alle urne: c’è un astensionismo preoccupante. Io la vedo nera. Bisogna allontanarsi dai social e interagire, come si faceva all’epoca delle contestazioni. La rivoluzione si fa con il sorriso. Inizia dalle piazze.
Quali diritti mancano nel nostro Paese?
Sono tanti e troppi da elencare. Il diritto alla vita, di esistere, il diritto alla visibilità è quello più importante. Riconoscersi l’un l’altro senza divisioni. Siamo dotati di intelligenza creativa ed emotiva, non mi stancherò mai di ripeterlo, dobbiamo ricordarci di usarla.
