Scatti di vita con l’Hiv: la mostra che accende i riflettori sull’Aids
Abbiamo sentito Carlo Oneto (responsabile salute di Antinoo Arcigay Napoli) per parlare della mostra e delle iniziative in corso per contrastare paure e fobie che ancora oggi resistono quando si parla di HIV e infezioni sessualmente trasmissibili
E’ in corso al PAC di Milano, fino al prossimo 27 ottobre, la mostra fotografica “Somebody to love” inserita nella X edizione del progetto RI-SCATTI, ideato dal PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano e da Ri-scatti ODV, l’associazione di volontariato che da dieci anni realizza progetti di riscatto sociale attraverso la fotografia. Per il 2024, la mostra vuole riaccendere il confronto su HIV/AIDS. Così le foto raccontano la storia di Giovanni, di Pic(colo) di Andrés. La forza di Francesco, le paure di Daphne e di Alberto, il senso di colpa di alchÆmist, il percorso di vita di Soma. Persone affette da Hiv che hanno avuto il coraggio e la volontà di raccontarsi attraverso foto professionali per combattere e denunciare lo stigma che ancora oggi circonda chi ha l’HIV.
“Dopo aver seguito un percorso formativo supervisionato da fotografi professionisti (volontari di Ri-scatti) – si legge sul sito internet dedicato https://www.pacmilano.it/exhibitions/ri-scatti-somebody-to-love/, otto persone che vivono con HIV si sono raccontate utilizzando la macchina fotografica e una selezione dei loro scatti sarà esposta nelle sale del PAC. L’esposizione – a cura di Diego Sileo – vuole costruire una nuova rappresentazione attorno alla tematica dell’HIV, per contribuire a migliorare le vite di chi, ancora oggi, subisce ingiuste discriminazioni”.
Radio Pride ha acceso i riflettori sulla collettiva fotografica. Per noi l’ha visionata Carlo Oneto, responsabile per Antinoo Arcigay Napoli del progetto “HIV Tutor Care 2.0 social prescribing”, risultato essere per il secondo anno consecutivo tra i vincitori dei Bandi di Community award program di Gilead Sciences per migliorare la qualità della vita e l’integrazione sociosanitaria delle persone che vivono con HIV. Al ritorno da Milano, dove ha ricevuto l’ambito premio, Carlo, che nel 2024 ha implementato un intervento basato su peer learning e peer empowerment presso la 4° divisione HIV dell’Ospedale Cotugno, Azienda Ospedaliera dei Colli di Napoli, ci ha consegnato alcune personali impressioni.
Parlaci un po’ della mostra al PAC di Milano. Impressioni generali?
“Alcuni clichè, anche varie cose degne di nota positiva. Una cosa è certa. Una collettiva incentrata su questo tema rappresenta sempre qualcosa di importante. Perché? Si parla comunque delle problematiche connesse alla vita di chi, ancora oggi, è costretto a convivere con lo stigma sociale legato all’HIV. Ed allora, che piaccia o meno, ben vengano iniziative del genere”.
Spiegati meglio. Entriamo nel dettaglio di ciò che hai visto.
“Mi è piaciuto molto il modo attraverso cui è stata raccontata la storia di Giovanni, 90 foto scattate ogni sera dopo aver preso la compressa per bloccare la replicazione del virus. Credo che, nel suo caso, la mostra abbia centrato l’obiettivo”.
Quale?
“Nel caso di Giovanni, così come ho potuto leggere dalle brochure informative al PAC, si trattava della normalizzazione della sua esistenza e di quella di persone positive all’HIV. Ho letteralmente letto: “Con questo progetto Giovanni vuole annoiare lo spettatore, raccontando il momento della giornata in cui si ricorda che, tra tutto quello che gli succede nella vita, c’è anche la semplice routine di questo gesto. Il progetto è anche una presa di coscienza profonda di una realtà personale che la società fatica, ancora, nel 2024, a capire e rispettare”.
Cosa, invece, ci segnali come clichè?
“Sempre a mio giudizio, il modo in cui è stata curata la galleria cinematografica degli artisti: lunga, con sfondo nero, troppo drammatica. Rappresentata troppo sul versante di un sesso “spinto”. Tuttò ciò può portare a pensare che il sesso spinto sia il momento in cui si contrae l’HIV. Tale narrazione l’ho trovata da clichè tipico, come vi dicevo in precedenza”.
Insomma “luci ed ombre”…
“Credo che di questa mostra si sia parlato parecchio soprattutto perché allestita in una città ricca e affascinante come Milano. Ma vi assicuro che a Napoli, anche a livello prettamente artistico, abbiamo già realizzato progetti interessantissimi”.
A cosa ti riferisci nello specifico?
“Streethaart” una mostra che già nel 2020 indagava sull’ HIV, la prevenzione e la gestione dell’infezione, la lotta alla sierofobia. Le opere furono realizzate da detenuti del carcere di Poggioreale, da artisti sierocoinvolti e da studenti a conclusione di un percorso formativo”.
Torna dunque l’importanza cruciale rivestita dalla sensibilizzazione e delle campagne informative nelle scuole…
“Sì, parlarne nelle scuole è davvero decisivo. Tuttavia, negli ultimi tempi, ho l’impressione, ma, posso comunque sbagliarmi in assenza di dati ufficiali, che alcuni presidi siano sempre più restii ad aprire le aule a progetti del genere”.
Parliamo invece del premio appena ritirato a Milano.
“Siamo stati premiati per il secondo anno consecutivo. Tutto ciò ci inorgoglisce ma ci spinge ad innovarci, a fare sempre meglio anche per il futuro. In generale, Il nostro progetto ha dimostrato un impatto positivo sulle competenze socio-relazionali di circa 80 pazienti e, di riflesso, sul loro benessere, con un alto livello di soddisfazione e nuovi stimoli per futuri miglioramenti, presenti nel nuovo progetto quali lezioni di Yoga e attività artistiche”.
Il vostro progetto al Cotugno sarà replicato anche nel 2025?
“E’ presto per poterlo dire. Il problema è sempre lo stesso, grave e mortificante, ovvero la mancanza di fondi. Il sostegno economico dovrebbe provenire dalla Regione e dallo Stato. In Italia vige una forma di pensiero antico e fuorviante, che etichetta progetti come il nostro esclusivamente come una spesa e non riesce a vederne l’impatto positivo in termini di investimento e di risparmio socio-sanitario. Quest’ottica, ad esempio, è da anni presente in Paesi molto più illuminati come l’Inghilterra dove anche le Università, in primo luogo quella di Liverpool, appoggiano programmi del genere”.