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Torre Annunziata, lo Sposalizio dei Femminielli: rito, festa e sorellanza

Tra tamburelli, abiti bianchi e cortei popolari, lo Sposalizio dei Femminielli ha trasformato Torre Annunziata in un palcoscenico rituale: memoria arcaica e atto politico, festa collettiva e poesia vivente.

Torre Annunziata, lo Sposalizio dei Femminielli: rito, festa e sorellanza

Cultura Queer, Memoria, News

29 Settembre 2025

Di: Nicola Garofano

Domenica 28 settembre Torre Annunziata è diventata il palcoscenico di un evento straordinario: lo Sposalizio dei Femminielli, rito popolare che intreccia tradizione, musica e resistenza. Una festa collettiva che ha riportato in vita un’antica usanza partenopea, con tutta la sua forza simbolica e comunitaria. Rito antico e nuovo insieme, sospeso tra sacro e profano, gioco e verità.

I femminielli, figure storicamente legate alla cultura napoletana, sono una delle identità più affascinanti e complesse del Mediterraneo. Antropologi e sociologi li hanno descritti come gender variant, come un “terzo genere”, come effeminati, travestiti, proto-transgender. Ma ridurli a una sola di queste categorie significherebbe tradirne l’essenza: i femminielli sono un fenomeno endemico, radicato nel tessuto culturale, popolare e simbolico di Napoli. Nel vicolo non erano esclusi, ma parte integrante della comunità. Custodi di rituali come la tombola, la riffa, la figliata e, appunto, lo sposalizio, erano percepiti come portafortuna, confidenti delle comari, interpreti di una teatralità che univa sacro e profano. La loro identità liminale rispecchiava la città stessa: Napoli, metropoli schizofrenica e accogliente, arcaica e postmoderna, sempre in bilico tra conservazione e rivoluzione. Come in molte altre culture, dagli hijras indiani ai muxé zapotechi, dai fa’afafine samoani ai berdache dei nativi americani, anche a Napoli si è sviluppata una figura capace di rompere la polarità uomo/donna per incarnare una forma altra, insieme sociale e simbolica.

Foto di Nicola Garofano

Persino la lingua lo rivela: il termine femminiello unisce la radice femmin-, che rimanda al femminile, al suffisso maschile e vezzeggiativo -iello, collocandolo in un territorio intermedio, fragile e resistente, dolce e ironico. Oggi i femminielli tradizionali sembrano in via di estinzione, spinti ai margini dalla globalizzazione e dalla medicalizzazione dei percorsi trans. Ma continuano a reinventarsi: dal vicolo al palcoscenico globale dei social e di YouTube, restano lo specchio stesso di Napoli, un’identità porosa, capace di trasformare l’ambiguità in forza, di vivere il confine come patria.

Foto di Nicola Garofano

A Torre Annunziata il rito “Lo Sposalizio dei Femminielli” è tornato grazie all’impegno congiunto di AFAN con Luigi Di Cristo e l’incantatrice Ciro Cascina; del Caffè Letterario Nuovevoci e del collettivo Korybass, con il sostegno di numerose realtà locali. Tra queste il Lido Rena Nera, che ha ospitato il ricevimento; il Circolo Nautico Arcobaleno, che ha messo a disposizione le imbarcazioni per la crociera simbolica, che per un fortuito ritardo non è avvenuta; e il gruppo Madonna d”e Rose, che ha animato la serata con tammurriate e danze popolari. Non sono mancati ospiti e artisti d’eccezione, come Antonio “Il Capitano” e Banana, un antico cantore giulianese di quelli là che una volta si facevano le discussioni con i canti e la tombolara Lorenzo Penniello del gruppo I Cipria, che divertito gli invitati non solo con il classico giro di tombola, ma anche con le sue barzellette irriverenti. L’odalisca Laura Arcudi che ha catturato i presenti con la sua danza del ventre. E, infine, Monelli tra i Fornelli, i ragazzi dell’IPM di Nisida che hanno curato il catering. Luca ha raccontato: «Monelli tra i Fornelli nasce nel 2015, un progetto nato per aiutare e recuperare i ragazzi nati in contesti socio-economici, culturali, io dico spesso emotivi, in contesti svantaggiati. Ritengo che chi è fortunato, e io mi ritengo un grande fortunato, si debba sentire in dovere di fare qualcosa per chi non ha ricevuto la stessa fortuna. Noi aiutiamo a inserire e canalizzare le energie di questi ragazzi che sono ospiti dell’IPM di Nisida, il carcere minorile, dove fanno formazione, recupero e inserimento. Partecipano in maniera attiva a questi progetti e vengono retribuiti. Vi lascio la cena e vi ringrazio del tempo che ci avete dedicato».

Foto di Nicola Garofano

Dal rione pescatori fino al porto, la città si è trasformata in un palcoscenico a cielo aperto. Carrozze, canti, travestimenti sgargianti e l’energia di un popolo intero hanno accompagnato Delfina, non era solo una sposa, ma una madonna pagana, icona di fortuna e bellezza, e Gennaro, non era solo lo sposo, ma il contrappunto necessario, compagno e completamento, nel loro percorso fino al lido Rena Nera, dove il banchetto ha suggellato l’unione. Una comunità intera ha partecipato, ricordando come la figura del femminiello non sia un corpo estraneo, ma parte viva e accettata della cultura napoletana: portafortuna, confidente e simbolo di continuità. Gli sposi si sono fermati ad alcuni punti della città dove i cittadini torresi avevano preparato un banchetto con dolci e bevanda, confetti e cibarie.

Foto di Nicola Garofano

Delfina, alias Kinjiki del collettivo Korybass ha detto «Oggi è una giornata veramente unica, non solo perché sancisce l’unione fra me e Gennaro, ma anche l’unione fra le nostre famiglie, che finora si erano tenute lontane. Questa sera abbiamo il piacere di condividere la mensa con entrambe, e già questo è qualcosa di speciale. Ma quello che è ancora più importante stasera è che si ripete un rito millenario, una storia antica che in questo momento si fa nuova. Gennaro e io non siamo la classica coppia, e proprio per questo abbiamo scelto di celebrare così, con voi, quest’occasione. Quello che ci preme sottolineare è che oggi va in scena non solo lo sposalizio fra me e Gennaro, ma lo sposalizio fra tutti noi. Perché ciò che ci accomuna e ci dovrebbe legare è un sentimento profondo: la sorellanza. È quel legame che puoi provare solo con le tue simili, con persone che puoi davvero considerare tue sorelle. Oggi, qui su questo palco, ci sono sorelle accanto a noi. Lì, fra voi, ci sono altre sorelle. E questo è l’importante. La sorellanza è il valore che ci fa uscire dal degrado, dall’isolamento e ci conduce verso un futuro più degno. Noi chiediamo soltanto di poter vivere una vita semplice, come stiamo facendo stasera: senza essere osservati, feticizzati o giudicati. Questo è il futuro che vogliamo portare avanti, ed è il futuro che già viviamo. In qualche modo, stasera, lo insceniamo per voi con questo meraviglioso Sposalizio. Per me, stasera, va in scena soprattutto la sorellanza. Sono fiera di condividere il mio percorso con le sorelle accanto a me. Sono fiera di condividere questo percorso con Gennaro. Speriamo che la nostra comunità diventi sempre più coesa, forte, unita. E al resto… vaffan… Evviva gli sposi!».

Foto di Nicola Garofano

Accanto a lei, Gennaro, lo sposo, ha aggiunto: «Il mio cuore si riempie di gioia nel vedere tutta questa partecipazione, tutta questa volontà di rappresentare una parte sociale che troppo spesso è trascurata. Come diceva Delfina, mia moglie, siamo qui per rappresentare il presente, il futuro e, ovviamente, anche il passato. Ci battiamo e rivendichiamo i nostri diritti: il diritto alla libertà, ma soprattutto il diritto ad esistere. Perché siamo degne di vivere una realtà che va oltre il giudizio degli altri. E ce ne dobbiamo fottere: questa è la chiave. Ci saranno momenti duri, ma li supereremo insieme, sorella con sorella. Siamo tutte qui a combattere la stessa battaglia, auspicando un mondo migliore per le nostre sorelle future. Un mondo in cui potranno vivere una tradizione simile alla nostra, ma rinnovata e al passo con i tempi».

Foto di Nicola Garofano

Il cuore pulsante dell’evento è stato proprio il collettivo Korybass. Delfina/Kinjiki, ha spiegato: «Noi siamo sei nel collettivo, con età e pratiche diverse: una cantante, una drag queen, un designer, io sono una DJ di base. Usiamo le nostre pratiche per reinterpretare la tradizione popolare e la cultura queer. Korybass prende il nome dai coribanti, i sacerdoti di Cibele, figure particolari che, nel momento in cui diventavano sacerdoti, si amputavano il pene e iniziavano a usare un trucco pesante, a vestirsi da donna, con gioielli e accessori, a vivere come donne e a compiere rituali in onore di Cibele, la dea della natura, della terra e della fertilità. Particolarmente interessante è che il santuario di Cibele si trovava a Montevergine, dove oggi sorge il santuario della Mamma Schiavona, la mamma dei femminielli. Ci siamo voluti ispirare a tutto ciò, perché la nostra missione è recuperare ciò che c’è di locale. A differenza di quasi tutto il resto del mondo, qui a Napoli e nel Golfo abbiamo la fortuna di possedere una ricchissima eredità culturale, precedente a tutte le categorie americane come l’LGBTQIA+, senza nulla a sfavore di quest’ultime. Il nostro patrimonio è enorme, tutto da scoprire e riscoprire. Oggi quello che facciamo è riscoprire e rinnovare il patrimonio ancestrale; nel rinnovarlo, lo riportiamo al presente, lo presentifichiamo e lo attualizziamo. La nostra missione di quest’anno era proprio attualizzarlo e portare certi temi al centro dell’attenzione. Abbiamo avuto l’onore di lavorare e collaborare con AFAN, l’Associazione Femminile dell’Antica Napolitana. Questa giornata è stata organizzata in sinergia tra noi di Koribass, Madonna de Rose e con tutto il supporto popolare di Torre Annunziata». Una menzione particolare va anche a Dario Biancullo, che oltre ad essere la madre della sposa, Mariarca Faraglioni, è stato il costumista visionario e post atomico dello sposalizio, un po’ distruttore, decompositore del fashion, anch’egli del collettivo Korybass.

Foto di Nicola Garofano

Lo Sposalizio dei Femminielli a Torre Annunziata non è stato soltanto una rievocazione folklorica, ma un atto politico e comunitario: la riaffermazione di un’identità liminale che sfugge a definizioni rigide, sospesa tra sacralità e spettacolo, ironia e lotta, marginalità e centralità. E quando Delfina e Gennaro hanno gridato «Evviva gli sposi!», non era solo un augurio a loro stessi, ma a una comunità intera che continua a resistere e a reinventarsi.

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