Grande attesa per Karma, l’autobiografia di Boy George. Dj Cerchietto: Una grande pop star che ha sdoganato la cultura queer

Claudio Finelli

Boy George (al secolo George Alan O’Dowd) racconta, per la prima volta, in un’autobiografia che sarà pubblicata a novembre 2023 dalla Bonnier Books Uk, la sua storia per intero, dagli esordi della carriera musicale negli anni ’70 e ’80, attraverso l’edonismo degli anni ’80 e ’90, fino alla rinascita di cui gode oggi.
Il volume, che non risparmia colpi di scena, si chiama Karma e racconta la carriera esplosiva di un’icona della musica pop e della cultura Lgbt+ che è cresciuto nella Londra degli anni ‘60, ha fatto coming out con la sua famiglia cattolica irlandese e ha esplorato la sessualità negli psichedelici anni ’70.

Karma promette di essere una lettura importante per chi ama la musica di Boy George e il suo stile eclettico e anticonformista ma anche per tutti quelli che hanno vissuto un periodo leggendario della musica pop, il periodo dei Culture Club ,di cui Boy George è stato il leader indiscusso, di Madonna, di Prince, di David Bowie e molti altri.
Sono ancora tantissimi i fans di Boy George nel mondo, tantissimi quelli che hanno riconosciuto in Boy il campione di una controcultura trasgressiva e innovativa, il sarcastico e ironico esponente di spicco del glam-rock degli anni ’90.

A ridosso dell’uscita del libro, Radio Pride contatta Dj Cerchietto, alter ego musicale del giornalista napoletano Ciro Cacciola che è stato peraltro ufficio stampa personale della popstar britannica durante la prima tournée italiana di Boy George come Dj.

Ciro, che ruolo ha avuto – a tuo parere – Boy George nell’emancipazione musicale e del costume in Europa e nel nostro Paese?

Ritengo che Boy George insieme ai Culture Club abbia rappresentato un momento di grande valenza culturale e iconografica, soprattutto per quanto riguarda il mondo degli anni ’80 e la New Wave. In realtà, dal punto di vista musicale, lui e i Culture Club hanno sempre proposto un tipo di musica “bianca”, ma con profonde radici soul e black, la sua stessa voce si rifaceva ai grandi esponenti della musica soul. Durante un’intervista che gli feci, George mi confidò che quando era ragazzino voleva essere come Shirley Bassey, una grande cantante tradizionale inglese che, per esempio, ha avuto successo anche interpretando la colonna sonora dei film di 007. La vera valenza di una figura come quella di Boy George è stata, inoltre, contribuire, negli anni ‘80, allo sdoganamento della cultura Queer, anche perché in quegli anni forse c’era maggiore libertà mentale, non c’erano schemi, non era ritenuto necessario posizionare le persone in esatta corrispondenza con le rispettive pratiche sessuali. Pop star  come Boy George, come l’androgina Marilyn, di cui George era amico, erano personalità indefinibili dal punto di vista identitario e sessuale ma certamente si rifacevano alla cultura gay e negli anni ’80 hanno avuto il merito di affermare in televisione l’esistenza di identità “differenti”. La sua presenza e la sua iconografia è stata quasi più importante dell’apporto artistico offerto al mondo della musica.

Tu hai seguito da vicino, personalmente e professionalmente, Boy George durante la sua prima tournée in Italia come Dj. Che ricordi conservi di quell’esperienza?

Ho avuto l’incredibile opportunità di lavorare con George nel 1996, lui era una star assoluta in quel momento, era molto famoso, ed era la sua prima tournée italiana come Dj. L’ultimo disco dei Culture Club era uscito un paio di anni prima e, anche se non aveva riscosso un grande successo, i loro video musicali erano molto conosciuti e Mtv, che all’epoca era seguitissima, li mandava spesso in onda. Dunque, in quegli anni tutti ricordavano molto bene le hit dei Culture Club come Karma Chameleon, The War Song, Do you really want to hurt me?.

Nel ’96 George aveva iniziato da poco la carriera da solista ma, in quell’occasione, era venuto in Italia solo per suonare come Dj, in sei tappe per due weekend consecutivi  nei club più in voga e di tendenza dell’epoca, e io l’ho accompagnato durante l’intera tournée. Di quei giorni, ricordo momenti in cui si è divertito tantissimo e altri in cui è stato a disagio perché, ad esempio, i fans italiani si aspettavano che lui cantasse anche, durante le performance come Dj, cosa che, invece, si rifiutava di fare. In un articolo, pubblicato per una rivista mensile che si occupava di musica che si chiamava Trend, raccontai la mia esperienza di lavoro con lui. Per me si trattò di una prova molto difficile e molto complessa perché inizialmente, quando arrivò in Italia, George aveva un atteggiamento molto chiuso e scostante – direi molto british – poi, giorno dopo giorno, sono riuscito a catturare, non saprei dire neanche come, la sua fiducia e la sua stima e, alla fine del tour, io ero l’unica persona, di quelle che lo seguivano, con cui voleva parlare e per me diventò molto divertente stare con lui. C’erano anche momenti critici, per esempio quando ci muovevamo, per esempio quando entravamo in aereo, lui era molto infastidito dall’invadenza dei fans che lo assalivano con le macchine fotografiche e che chiedevano insistentemente autografi. Bisogna considerare che anche le signore più anziane che incontravamo per strada, in piccoli centri come Desenzano sul Garda, lo riconoscevano e lo fermavano. Comunque, ricordo a memoria le parole con cui terminai l’articolo per Trend: “George Alan O’Dowd è un vero artista e una persona adorabile, la sua umanità è percettibile ed è più forte delle sue piccole manie da star. È bello stare in sua compagnia, gli piace ridere e scherzare, è pieno di humor, è dotato di grande autonomia, in ogni momento è disposto a dire la verità, ad essere se stesso, ad affermare la propria identità sessuale dolcemente o brutalmente, sono sempre gli altri a decidere”.

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