20 Novembre: Giornata Internazionale in ricordo delle vittime di violenza transfobica. Oltre 320 vittime nell’ultimo anno nel mondo. Intervista a Tanya Di Martino, donna trans, attivista e imprenditrice.

Samuel Matrone

Trecentoventi è il numero di persone trans e gender non-conforming uccise dall’odio e dalle discriminazioni nel mondo. Trecentoventi è il numero riportato dal Trans Murder Monitoring nella finestra di tempo che va dal 1° ottobre 2022 al 30 settembre 2023, ma è altamente probabile siano in realtà molte di più. La maggior parte di queste vittime sono persone giovanissime, con un’età media che non supera i trent’anni; la maggior parte sono donne trans, sex worker, di colore – e ognuna delle trecentoventi persone in questo report annuale sono figlie, sorelle, amiche, strappate alla vita dalle violenze e le ideologie altrui. Oggi, lunedì 20 novembre, ricordiamo ognuna di esse.

Il Transgender Day of Remembrance (TDOR) è la ricorrenza annuale che commemora chi è stato vittima, perdendo la vita, di transfobia. In tale occasione, innumerevoli sono stati e saranno gli eventi organizzati per ricordare le loro storie, per sensibilizzare l’opinione pubblica e per diffondere consapevolezza. Noi di Radio Pride abbiamo deciso di farlo con le parole di Tanya Di Martino, donna trans, attivista e imprenditrice, da sempre impegnata nel napoletano per portare avanti le battaglie delle persone trans e gender-non conforming.

20 novembre: TDOR, Trans Day Of Remembrance, la giornata internazionale in ricordo delle vittime di violenza transfobica nel mondo. A che punto siamo e perché ancora oggi c’è tanta violenza nei confronti delle persone trans o gender non-conforming in Italia e nel mondo?

Purtroppo, come dimostrano anche i numeri delle vittime, c’è ancora tanta transfobia. Il perché è dovuto a una mancata conoscenza della comunità trans, ai pregiudizi che non vengono sdoganati, allo Stato attuale che, anziché aiutare le minoranze, decide di restare in silenzio. Nonostante tutte le lotte, le resistenze e i lutti che ci addolorano di anno in anno, la società ci vuole ancora ai margini. Vorrebbe averci ai margini. Ma è in giornate come queste che dimostriamo di non volerci arrendere, di voler resistere alle accuse, agli stereotipi, ai diritti che ci vengono negati – di avere ancora una voce e di volerla usare per non essere più vittime, con il desiderio di creare avere una maggiore apertura mentale e un clima che non sia più ostile.

Il 1° ottobre hai ricevuto il premio dagli Stati Generali delle Donne in occasione della presentazione dell’annullo filatelico del francobollo per l’imprenditoria femminile. Come ti sei sentita quando hai ricevuto la notizia e quali sono state le difficoltà che hai vissuto come donna trans imprenditrice?

Mi sono sentita molto onorata. Non me l’aspettavo ma è stato un riscatto morale per tutti i sacrifici e le difficoltà che ho dovuto affrontare in quanto donna trans: anche solo affittare un locale può essere un’impresa, perché i pregiudizi in questo ambiente sono ancora molti e, ancora una volta, lo Stato non fa abbastanza per tutelare noi imprenditrici. Stiamo facendo passi avanti – passi dolorosi, faticosi – ma vincere questo premio sarebbe stato impensabile fino a qualche anno fa. Sono infinitamente grata per questo.

Oltre a essere un’imprenditrice, sei fortemente impegnata nel sociale come presidente del Coordinamento Campania Rainbow e vicepresidente di Pride Vesuvio Rainbow. Quanto è importante oggi per le persone trans, non binary e gender non-conforming avere come punto di riferimento una persona trans nelle associazioni?

Direi estremamente fondamentale. Per quanto ognuno possa dare il suo contributo, solo chi fa parte della comunità transgender* può comprendere appieno le paure, le sofferenze e il dolore di determinate situazioni. È più facile non sentirsi giudicati, è più facile aprirsi e condividere la propria esperienza con una persona che sai poterti comprendere nel profondo. Penso inoltre che, per amici e parenti, sia essenziale interagire con persone trans e non binary adulte, realizzate, al fine di rassicurarli sul futuro della persona cara: c’è ancora molto pregiudizio e spesso le paure offuscano il bene che possono provare nei confronti dei propri figli e figlie, amici o amiche. Io sono stata fortunata perché i miei genitori, anche se spaventati per il mio futuro, sono sempre stati dalla mia parte. Vorrei che chiunque, specialmente le nuove generazioni, vivano la loro identità e il loro eventuale percorso con serenità, così come l’ho vissuto io. Per questo motivo sono attiva sul sociale e per questo motivo esistono le associazioni – sono, prima di ogni altra cosa, un punto di riferimento per chiunque ne abbia bisogno.

Tra i tanti progetti e impegni nel sociale spicca quello a sostegno delle persone LGBT+ detenute. Possiamo citare il progetto FORTUNATO a Poggioreale, insieme a Fondazione Con il Sud, donne trans e ragazzi omosessuali, e anche il progetto Rainbow Refuge nella casa circondariale di Pozzuoli, con la Regione Campania. Cosa ci racconti di questi due progetti? Perché pensi siano importanti?

È difficile ma sono progetti che regalano infinte soddisfazioni. Entrare in questi contesti, dove molte persone si sentono abbandonate a loro stesse non è semplice – e lo Stato non aiuta. Abbiamo iniziato con dei corsi limitati all’ambiente carcerario ma ben presto abbiamo realizzato che anche il fuori, il dopo è altrettanto importante. Cerchiamo di ridonare dignità ai detenuti, di dare una possibilità di riscatto a persone spesso escluse dal mercato del lavoro. Siamo contenti dei risultati ma speriamo di poter fare sempre di più.

Il tuo impegno sociale è molto presente nell’organizzazione dei Pride, sia in quelli di Napoli sia in quelli provinciali organizzati da Pride Vesuvio Rainbow (l’ultimo a Scafati, preceduto da Torre Annunziata, Sorrento e Pompei). Quanto, ancora oggi, è importante rivendicare la propria identità? Qual è la tua opinione sui Pride in provincia?

Partecipare ai Pride in provincia è essenziale, forse più dei Pride nei capoluoghi. Di norma le grandi città dimostrano una maggiore apertura mentale, con la presenza di diverse associazioni a cui rivolgersi. Nella provincia, invece, c’è più lavoro da fare, a partire dall’opinione delle famiglie nei confronti dei propri figli o figlie, dei propri fratelli o sorelle. Per noi associazioni la soddisfazione è maggiore, ma è un lavoro molto difficile. Mi riempie il cuore di gioia vedere ragazze e ragazzi accompagnati dai propri genitori, dalle proprie nonne e i propri nonni. Il semplice atto di partecipare a un Pride in provincia, magari proprio nella propria città di residenza, è dimostrazione di grande coraggio, più di quanto ne serva per partecipare a un Pride nei capoluoghi, dove spesso i numeri sono molto diversi. Per me è un grande onore partecipare all’organizzazione dei Pride, nonostante gli immensi sacrifici: finché avrò vita e finché ne avrò la possibilità, io sarò sempre pronta a dare il mio contributo, nella speranza che ogni persona, in particolare ogni donna – e non solo donna trans – possa camminare libera, fiera di esprimersi e di esistere.

in foto Tanya Di Martino, premiata in occasione della presentazione dell’annullo filatelico per l’imprenditoria femminile.

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