Antinoo d’Oro a Enzo Moscato: abbiamo portato in scena spettacoli “diversi” in periodi in cui le tematiche “queer” non si ponevano proprio.

Claudio Finelli

Mercoledì 29 Novembre, alle ore 18, negli storici locali dell’associazione Antinoo Arcigay di Napoli, in vico San Geronimo, verrà consegnato l’Antinoo d’Oro 2022 all’intellettuale, poeta e uomo di teatro Enzo Moscato

Il riconoscimento, con cui il direttivo dell’associazione intende sottolineare il significativo apporto di alcune personalità (o enti) del mondo della cultura, della politica o della società civile ai valori dell’integrazione, del contrasto agli stereotipi e della tutela dei diritti umani, è stato attribuito, nelle precedenti edizioni, al partigiano Antonio Amoretti, al sindaco Luigi de Magistris, al Prof. Paolo Valerio, all’Ospedale Pascale di Napoli, allo Stonewall Inn di New York e alla Console Colombia Barrosse.

La motivazione con cui il Direttivo dell’Associazione Antinoo Arcigay Napoli ha deciso di attribuire l’Antinoo d’Oro 2022 ad Enzo Moscato, Intellettuale, poeta e uomo di teatro, è la seguente:
Per aver interpretato con autenticità e coerenza la polifonia esistenziale e sentimentale della città di Napoli, raccontando, con animo libero e viscerale sensibilità, l’immaginario composito e multiforme di una società ora sincretica e inclusiva, ora violenta e scura come una sentina, sempre ricca e generosa di un’umanità verace e resistente ad ogni vieta convenzione del conformismo borghese.

A qualche ora dalla consegna, raggiungiamo telefonicamente Enzo Moscato.

Moscato, da poeta e uomo di teatro, lei ha spesso ritratto la vita e i sentimenti di creature liminali e non conformi. Da cosa nasce quest’esigenza?

Non saprei esattamente dire da dove nasce…credo nasca dai nostri “mostri” inconsci, dal tipo di vita che abbiamo fatto da bambini, io da piccolo abitavo ai Quartieri Spagnoli e c’erano varie personalità difformi, “irregolari” da tutti i punti di vista, era raro trovare qualcosa che potesse essere, in quei luoghi, agli inizi degli anni cinquanta, pure anatomicamente e fisiologicamente conforme e “regolare”, anche a causa dell’insalubrità dell’aria e dell’umidità dei “vasci”.

Napoli, città che fa sempre da sfondo alle sue opere, è molto cambiata negli ultimi cinquant’anni. Probabilmente, ha perduto, nel tempo, quell’autenticità primigenia e anticonformista di cui era invaghito Pier Paolo Pasolini. Che giudizio esprime su questa trasformazione antropologica e culturale della nostra città?

La Napoli che amava Pasolini era una Napoli proletaria anche se le opere di Pasolini, cinematograficamente e letterariamente, sono piene di citazioni colte. Non so cosa penserebbe oggi di un degrado che è arrivato al massimo livello antropologico ed etico. Bisognerebbe interrogare l’anima di questo grande interrogante che purtroppo ci hanno sottratto; è dal 1975 che ci manca la sua guida ideologica, morale e artistica. Non vedo attorno a me, al momento, un salvagente a cui aggrapparsi. Quando mi capita di tenere laboratori, al di là dello specifico della scrittura, io mi lancio nell’antropologia, nella filosofia, nell’etica ma l’opera di una singola persona non basta.

Chi sono stati i suoi maestri e, soprattutto, tra gli intellettuali contemporanei, chi le piacerebbe riconoscere come suoi eredi “artistici e spirituali”?

Nel teatro, tra me e la tradizione – Eduardo, Scarpetta etc – penso ci sia una frattura stilisticamente e contenutisticamente evidente, io venivo dallo studio di discipline, come la filosofia e l’epistemologia, molto diverse e i testi miei sono piuttosto complessi dal punto di vista della drammaturgia scritta e della drammaturgia da mettere in scena anche se questo, per me, non è mai stato un problema. I miei maestri quindi sono stati quelli che ho incontrato nel mio percorso di studi universitario, filosofi e saggisti, studiosi che si interessavano di filosofia pura o di filosofia empirica perché io mi sono laureato in filosofia con una tesi in psicologia e per un certo periodo ho insegnato storia, poi ho dovuto fare una scelta e propendere professionalmente per il teatro e non per la scuola,  anche se il teatro, a suo modo, ha delle componenti di insegnamento.

Sulla faccenda degli eredi non lo so neppure io, certo quelli che ho formato nella mia compagnia, attorialmente e qualcuno anche drammaturgicamente, potrebbero continuare il mio percorso se lo volessero e se avessero la costanza e la forza necessaria per combattere questa battaglia.

L’Antinoo d’oro è un riconoscimento che Antinoo Arcigay Napoli attribuisce a persone o enti che hanno offerto un contributo importante nel contrasto ai pregiudizi e nella tutela dei diritti umani. A che punto è la notte, a suo parere, relativamente ai diritti umani nel nostro Paese? E Napoli, secondo la sua esperienza, si può considerare una città inclusiva?

Dal punto di vista teorico sembra che ci stiamo avviando verso un’eta della ragione e invece, vedendo quanto accade quotidianamente, mi pare sia necessario ancora un grosso lavoro, soprattutto in luoghi ad alto rischio, anche della nostra città.

Napoli è una città inclusiva nel senso che accoglie; prima o poi Napoli accoglie, lo ha sempre fatto nei secoli, ha sempre incluso nel suo corpo il corpo inizialmente estraneo e lo sta facendo anche adesso con i tanti lavoratori stranieri che vivono con noi. Certo si dovrebbe lavorare di più da parte di tutti e delle istituzioni perché questo rapporto di reciprocanza tra cittadinanza e politica diventasse più completo e continuo.

Infine, è stato certamente un precursore nell’affrontare tematiche che oggi definiremmo “queer”. Che ricordo hai delle sue prime messinscene con personaggi e temperature “queer”?

Più che portare in scena tematiche queer, ho portato in scena con me attori e attrici che mi seguivano in questo pensiero di agire su Napoli, dal punto di vista drammaturgico, in una maniera nuova, sia come scrittura, quindi come riferimento culturale, che come prassi recitativa. Certo non è stata una scelta di vita che ci ha arricchito ma questo è l’ultimo dei problemi. Mi riferisco a lavori realizzati degli anni ottanta, abbiamo portato in scena spettacoli “diversi” in periodi in cui le tematiche “queer” non si ponevano proprio. Un po’ mi fa paura, invece, questa generazione “piccolina”, cresciuta con tutti i privilegi, che si è trovata a godere di lotte fatte da altri; non so cosa sia arrivato di rivoluzionario, di sconvolgente, di diverso nella sua vita.

Che consiglio darebbe a un giovane autore, poeta e/o drammaturgo, che volesse affrontare, oggi, tematiche simili?

Che deve farlo con coraggio e determinazione, fino in fondo.

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