A Poetè, Giovanni Lucchese con Un bambino sbagliato: al bambino che sono stato, oggi direi di godersi la vita, senza mettersi sempre alla prova

Claudio Finelli

Giovedì 4 aprile, alle 18:30, nell’ambito della rassegna letteraria Poetè, presso la sede di Antinoo Arcigay Napoli in vico san Geronimo 17, arriva lo scrittore Giovanni Lucchese, autore di spicco della comunità Lgbt che ha esordito nel 2016 con la raccolta di racconti Pop Toys e che ha, in seguito, intrecciato la vena queer con quella noir, pubblicando romanzi di successo come Questo sangue non è il mio, L’uccello padulo e La Sete.

Con l’ultimo romanzo Un bambino sbagliato, pubblicato da Arkadia, Lucchese si cimenta in un romanzo di formazione, dalla temperatura esplicitamente autobiografica, ironico e commovente, intimo ed estremamente autentico.

La notte prima di Ferragosto, nella sua casa al mare, un uomo riceve la visita di un misterioso bambino che sembra comparire dal nulla. Svanito il terrore iniziale, scoprirà che altri non è se non la versione di sé a cinque anni, ormai dimenticata e sepolta sotto decenni di pensieri e di vita vissuta. Scanzonato, permaloso e con un piglio da guerriero, il bambino prenderà per mano il protagonista accompagnandolo in un mondo fatto di ricordi e di aneddoti. Attraverso gli occhi del bambino, l’uomo rivivrà i momenti salienti di un’infanzia a volte difficile, a volte spensierata, vissuta ai margini di una società non ancora pronta a cogliere le sfumature di una personalità fuori dal comune.

Per saperne di più, contattiamo telefonicamente Giovanni Lucchese.

Un bambino sbagliato è un romanzo di formazione dalla temperatura esplicitamente autobiografica. Quanto ti è costato scriverlo, in termini squisitamente emotivi?

È stato divertente, ho rivissuto momenti che credevo di aver dimenticato, o che non ritenevo importanti per la mia formazione. mi sono divertito, commosso, ho sentito tante persone, che credevo di aver perduto nel tempo, farsi vicine a me e accompagnarmi durante questo bellissimo viaggio.

Quale è stata la reazione che hai raccolto quando persone a te care, si sono riconosciute nei personaggi del romanzo?

Per il momento, ho ricevuto solo affetto e risate. Non credo di essere stato cattivo con nessuno, al massimo ho esagerato un po’ marcando i difetti delle persone, ma il risultato è stato una risata generale.

In cosa, l’infanzia e l’adolescenza di un bambino Lgbt è differente dall’infanzia e dall’adolescenza di un bambino eterosessuale e cisgender?

Oggi è tutto molto più semplice. Fluido, per usare una parola che va molto di moda ultimamente. Ai miei tempi era molto più complicato, soprattutto perché le aspettative erano molto rigide. Se eri un maschio ci si aspettava che facessi certe cose, che ti piacessero alcuni giochi, che ti riconoscessi come facente parte di un’identità collettiva. Stessa cosa per le femmine, ovviamente. Uscire dai canoni non era semplice, essere se stessi era considerata una trasgressione alle regole. Ma sono stato fortunato, ho avuto una famiglia che ha quasi sempre accolto la mia diversità a braccia aperte.

Hai un rimpianto o un rimorso, legato alla tua infanzia e adolescenza, che ti va di raccontare?

Non ho particolari rimpianti, a parte quello di non aver mai avuto il camper di Barbie. Quello che ho voluto fare, in un modo o nell’altro, sono sempre riuscito a farlo.

Cosa diresti, oggi, al bambino che sei stato, se davvero potessi – per magia – incontrarlo?

Gli direi quello che gli dice sua nonna verso la fine del romanzo. Goditi la vita, rallenta, vivi il momento, stai sereno. Non metterti sempre alla prova, che non ce n’è bisogno.

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